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POLVERE

ELIO GRAZIOLI SOLO EXHIBITION

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« A me accade così: mentre passeggio mi cade l’occhio su qualcosa, oppure alzo gli occhi da quello che sto facendo e quello che vedo mi appare come composto in maniera immodificabile. Allora ci penso, prendo il cellulare e scatto la foto. Poi inseguo il mio pensiero, cerco anche le parole per formularlo in un modo che mi appaia quello giusto, le parole ballano e cambiano di posto, come se stessi componendo una poesia. So bene che quando rivedrò la foto, tutto sarà cambiato, ma non è questo, è che vari tempi e vari pensieri si sovrapporranno. In fondo fotografo per pensare, non qualcosa di preciso, ma il pensiero in sé, quello della vita. Per questo presento due insiemi, uno dei quali doppio, forse triplo. Questo è composto da una selezione stampata e da una, più ampia, proiettata a parete. Vi alterno immagini di superfici e immagini di soggetti vari, tanto paradigmatici da significare per me i grandi temi di sempre e di ognuno. L’altro insieme, nella seconda sala, è un gruppo omogeneo di fotografie di polvere che ricopre gli arbusti sui lati di una strada. Le ho scattate dopo aver scritto il mio libro sulla polvere nell’arte contemporanea, un giorno che passeggiavo nei bellissimi dintorni di Castagneto Carducci ».

Così Elio Grazioli presenta la sua personale negli spazi di LuogoArteContemporanea. C’è un profumo di Oriente nelle immagini e nell’attitudine di Grazioli, sentore di impermanenza e di risveglio secondo gli antichi insegnamenti buddisti, di haiku giapponesi per diversi aspetti. Forse la fotografia è proprio una versione contemporanea dell’haiku: se non l’hanno inventata i giapponesi, molti la praticano con tale originale sensibilità. Occidentale, Grazioli la interpreta a modo suo, “ultrasottile”, come ha scritto altrove, rifacendosi a Marcel Duchamp; italiano, lo fa con il gusto del mescolare le carte: critico? Fotografo? Artista? Forse tutto, comunque qualcosa. La mostra è corredata da un testo del filosofo Riccardo Panattoni, con cui Grazioli collabora da tempo in grande sintonia.

Il gesto muto dello sguardo

L’atto del guardare corrisponde in realtà più a un gesto che a una vera e propria azione ed è per questo che il suo modo di accadere, di formalizzarsi, non cessa mai d’interrogarci, per alcuni versi anche di sorprenderci, aperto com’è sull’accadere istantaneo della vita. Accompagna il nostro procedere nelle situazioni e al contempo ci permette di cogliere come per percepire la vita in atto sia necessario un attimo di arresto, una lieve sospensione in cui la vita che viviamo sembra arrendersi a se stessa: in un solo colpo d’occhio. Probabilmente è così che nascono le fotografie: mentre procediamo nell’apparente linearità del tempo ci si presenta una sorta di contro-tempo e il nostro presente si dilata, si fa sentire. Rimane preso in una sfumatura al contempo del tutto particolare e del tutto inappariscente, insistente e un po’ inafferrabile, prendendo comunque in noi il completo sopravvento. Nell’istante di quel passaggio sospensivo un tratto visivo tende a fissarsi, lo sguardo è come si riflettesse in quel ritaglio di realtà che si fa tutt’uno con quello che c’è da vedere. È un incanto, un momento perfetto, totalmente svuotato da ogni contenuto strettamente personale e in cui, se ci fosse il tempo, si potrebbe scattare una fotografia. Questo, qualche volta, accade anche veramente, specialmente per chi ha conosciuto il segreto della fotografia, che non è in prima istanza quello di documentare qualcosa, ma di tracciare il lieve passaggio in cui la vita ci appare e ci sorprende senza di noi, mentre siamo proprio noi a guardarla. Un momento di grazia, in cui ci liberiamo di noi stessi e quella fissità d’immagine si trasforma, quasi alchemicamente, in un’immagine fissa.  

Elio Grazioli tutto questo lo esprime molto bene nelle sue fotografie, così come nelle parole che accompagnano questa esposizione. Gli capita – ci capita anche a noi con lui – che lo sguardo possa cadere su di un particolare inatteso e inessenziale rispetto alla sua funzione d’insieme, sguardo che così s’intrattiene, per un tempo indeterminato, su qualcosa che con ogni probabilità sarebbe dovuto passare del tutto inosservato. Oppure gli capita – ci capita anche a noi con lui – che lo sguardo, sovrappensiero, si sollevi dall’azione in cui si è impegnato e si apra, nell’atto della sua visione, su un senso di vuoto rispetto a ciò che lo circonda, permettendo a quella realtà di apparire così com’è, come se si presentasse a quello stesso sguardo per la prima volta: tutta avvolta in una perfetta e al contempo inafferrabile nitidezza. Un doppio movimento che va dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, ma forse potrebbe anche essere colta come un movimento che simultaneamente si tende verso entrambe le direzioni, imprimendo una correlazione e una discontinuità tra il particolare e il vuoto: intensità che connota la perfezione istantanea di quella determinata visione. Ed è così che prende forma quella che Grazioli definisce un’immagine immodificabile.

La piega perfetta di questo momento visivo, che si depone nel lascito di alcune immagini, non è tuttavia soltanto la restituzione di quell’esperienza estatica del tempo nel tempo. In quanto Grazioli ci avverte che è proprio a quel punto che inizia a cercare le parole per dare forma ai propri pensieri su ciò che con quello scatto fotografico è avvenuto, parole che tuttavia nulla potranno aggiungere alla perfezione di quel momento, ma potranno dire qualcosa intorno alla sorpresa che quella visione non sia rimasta abbandonata a se stessa, all’interno del suo tratto di vita, ma si sia fatta immagine fissa. Immagine destinata quindi non soltanto a permanere, ma inevitabilmente anche a persistere, a continuare a mostrare il proprio anelito verso quelle parole ormai liberamente indirizzate verso il proprio altrove. È proprio in questo contrasto tra immagine e pensieri che le parole iniziano a ballare e a cambiare di posto, come quando si compone una poesia. Quello che le immagini ci sollecitano a fare è quindi quello di deporre ogni pretesa di dare forma a un discorso lineare e di lasciare invece che le parole brillino autonomamente su se stesse: come appartenessero, insieme alle immagini, a un esclusivo atto creativo. Forse quest’ultimo risiede proprio in quel vuoto che si instaura tra l’immagine e la parola, lì dove l’atto non appartiene più effettivamente a nessuno ma che ognuno, a suo modo, può fare suo. Proprio come ciò che accade con una fotografia o con un haiku. Tanto è vero che una delle istanze fondamentali di questo componimento poetico della tradizione giapponese è proprio la spaziatura. Una fuoriuscita dalle categorie dello spazio e del tempo, per aprirsi a un intervallo che rende la spaziatura il luogo che al contempo unisce e separa: come il respiro di una vita, la pulsione di un’immagine, l’eco silenziosa di una parola.            

Tuttavia, rimanendo in questa correlazione tra la fotografia e l’haiku, anziché l’invito a tenere uno sguardo sulla pagina e uno sulla realtà di ciò che si mostra, è come se, grazie a questo lavoro di Elio Grazioli, l’immagine/haiku si scrivesse su un foglio di filigrana direttamente con lo sguardo. Perché anziché scriverlo nella luce lo si dovrebbe pronunciare in sovrapposizione all’immagine che si fissa nitida nello sguardo. Un ribadirsi dell’uno sull’altra, nella certezza vaga di essere passati effettivamente di lì, nella trasparenza di quella visione, che tuttavia non appartiene più alla memoria di nessuno e che al contempo, proprio per questo, viene a far parte della memoria di tutti coloro che l’hanno attraversata e che per un momento la ricorderanno. Le parole di un haiku mai scritto si ripercuotono così nel suono muto della visione, slittano nell’assenza, nel vuoto, di ciò che non possono dire, sono un punto d’arresto dimenticato nel continuo pellegrinare dello sguardo; mentre a loro volta le immagini si fanno vuoto di parola, pura evocazione di un passato ancora a venire: polvere del tempo ormai depositata definitivamente nel silenzio di se stessa. 

 

~ Riccardo Panattoni, 2023

POLVERE

personale di Elio Grazioli

con testo critico a cura di Riccardo Panattoni

17.02 - 16.03.2024

opening 

sabato 17 febbraio, h 17

La mostra è visibile presso LuogoArteContemporanea su appuntamento.

Ingresso gratuito.

Le opere in mostra sono in vendita.
Per maggiori informazioni scrivere a info@arteluogo.it
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